Prevedere i terremoti: il ruolo del gas radon
I limiti delle tecnologie di allerta rischio sismico
Non c’è dubbio che riuscire a prevedere un terremoto con ragionevole anticipo sarebbe di enorme aiuto nella pianificazione della risposta all’emergenza. Ed è per questa ragione che la comunità scientifica è al lavoro nel tentativo di identificare possibili segnali. Ad oggi però gli unici sistemi su cui possiamo fare affidamento sono le cosiddette tecnologie di allerta precoce, composte sostanzialmente da una rete di sismografi che, lavorando all’unisono, consentono di localizzare più o meno in tempo reale l’ipocentro e l’epicentro di un terremoto e di inviare un allarme alle zone circostanti, per attivare, se necessario, i sistemi di risposta automatici (per esempio far scattare il rosso sui semafori per fermare il traffico, far suonare la campanella nelle scuole per permettere agli studenti di ripararsi sotto il banco, etc.). Un sistema senza dubbio utilissimo e potenzialmente salvavita, come ha recentemente sottolineato uno studio italiano pubblicato su Nature Communications, ma con dei limiti: anche nel migliore dei casi, infatti, tecnologie di questo tipo permettono di avere un preavviso dell’ordine di dieci secondi prima dell’arrivo della scossa. Un lasso di tempo decisamente insufficiente.
Imparare dal passato
I tentativi per migliorare la finestra temporale delle previsioni, comunque, non mancano. Da diversi decenni, la comunità scientifica non ha lesinato alcuno sforzo per comprendere più dettagliatamente possibile le dinamiche dei fenomeni sismici, in modo da identificare dei segnali che consentano di prevederli con il maggior anticipo possibile. Allo stato attuale, gli approcci sono sostanzialmente due: il primo è quello statistico, ovvero volto a valutare la probabilità che un dato terremoto di una data magnitudo colpisca una certa regione in un determinato intervallo temporale. Nel tempo, in particolare, geologi e sismologi hanno sviluppato dei modelli matematici, basati, tra le altre cose, sull’analisi dell’attività vulcanica e sull’andamento delle serie storiche e che, analogamente a quanto accade nel campo della meteorologia, consentono di mettere a punto le cosiddette mappe di pericolosità sismica, aggiornate periodicamente, che contengono indicazioni su quali sono le regioni che corrono più concretamente il rischio di essere teatro di un terremoto. I risultati sembrano essere promettenti: questo approccio, applicato a posteriori sulla sequenza sismica che ha colpito l’Italia centrale nel 2016, ha permesso di elaborare previsioni “statisticamente affidabili” rispetto ai dati realmente osservati.
Alla ricerca dei precursori sismici
Ma, accanto a quella matematica-statistica, c’è anche un’altra strada. Ed è quella dei cosiddetti precursori sismici, ossia tutti i segnali (fisici, chimici, geologici, biologici) potenzialmente correlati al verificarsi di un terremoto: una volta compreso quali sono, potrebbe essere possibile, intercettandoli con opportuno anticipo, prevedere l’arrivo di un sisma. Tra i possibili precursori sismici attualmente allo studio della comunità scientifica ci sono, per esempio, le variazioni della velocità delle onde sismiche, la variazione del volume delle rocce, le variazioni di resistività elettrica delle rocce, la variazione del campo geomagnetico, le variazioni di livello e temperatura dell’acqua nei pozzi profondi e anche la variazione nelle emissioni di gas radon da parte della crosta terrestre, in corrispondenza della faglia. Il razionale di quest’ultimo punto, in particolare, è il seguente: il gas radon è un elemento prodotto dal decadimento dell’uranio, presente naturalmente in quantità variabili nel sottosuolo e lì intrappolato dalle rocce circostanti; si pensa quindi che i movimenti (in particolare compressioni e microfratture) che avvengono nelle ore precedenti al terremoto potrebbero fornire, in alcuni casi, una sorta di “via d’uscita” al gas radon per liberarsi nell’atmosfera, determinando un aumento dei livelli di radon registrati nell’area.
La strada è tracciata
Attualmente è ancora presto per stabilire una connessione certa e per fare previsioni ma la strada, studi alla mano, sembra tracciata. Monitorare i livelli di radon non è solo importante per la nostra salute -il 30% dei tumori al polmone, ad esempio, è causato dall’esposizione al radon- ma potrebbe essere a breve un nuovo metodo per prevedere l’arrivo di un terremoto.